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Pur sopravvivendo, in una lunga appendice Di inesausta, inesauribile passione — che quasi in un altro tempo ha la radice —
so che una luce, nel caos, di religione, una luce di bene, mi redime il troppo amore nella disperazione…
È una povera donna, mite, fine Che non ha quasi coraggio di essere E se ne sta nell’ombra, come una bambina,
Coi suoi radi capelli, le sue vesti dimesse, Ormai, e quasi povere, su quei sopravvissuti Segreti che sanno, ancora, di violette;
Con la sua forza, adoperate nei muti Affanni di chi teme di non essere pari Al dovere, e non si lamenta dei mai avuti
Compensi : una povera donna che sa amare Solanto, eroicamente, ed essere madre È stato per lei tutto ciò che si può dare.
La casa è piena delle sue magre Membra di bambina, della sua fatica: Anche a notte, nel sonno, asciutte lacrime
Coprono ogni cosa : e una pieta così antica, Così tremenda mi stringe il cuore, Rincasando, che urlerei, mi toglierei la vita.
Tutto intorno ferocemente muore, Mentre non muore il bene che è in lei E non sa quanto il suo umile amore,
— poveri, dolci ossicini miei — possano nel confronto quasi farmi morire di dolore e vergogna, quanto quei
suoi gesti angustiati, quei suoi sospiri nel silenzio della nostra cucina, possano farmi apparire impuro e vile…
in ogni ora, tutto è ormai, per lei, bambina, per me, suo figlio, e da sempre, finito: non resta che sperare che la fine
venga davvero a spègnere l’accanito dolore di aspettarla. Saremo insieme, presto, in quell povero prato gremito
di pietre grige, dove fresco il seme dell’esistenza dà ogni anno erbe e fiori : nient’altro ormai che la campagna preme
ai suoi confini di muretti, tra I voli delle allodole, a giorno, e a notte, il canto disperato degli usignoli.
Farfalle e insetti ce n’è a frotte, Fino al tardo settembre, la stagione In cui torniamo, lì dove le ossa
Dell’altro figlio tiene la passione Ancora vive nel gelo della pace : Vi arriva, ogni pomeriggio, depone
I suoi fiori, in ordine, mentre tutto tace Intorno, e si sente solo il suo affanno, Pulisce la pietra, dove, ansioso, lui giace,
Poi si allontana, e nel silenzio che hanno Subito ritrovato intorno muri e solchi, Si sentono I tonfi della pompa che tremando
Lei spinge con le sue poche forze, Volonterosa, decisa a fare ciò che è bene : E torna, attraversando le aiuole folte
Di nuova erbetta, con quei suoi vasi pieni D’acqua per quei fiori… presto Anche noi, dolce superstite, saremo
Perdulti in fondo a questo fresco Pezzo di terra : ma non sarà una quiete La nostra, ché si mescola in essa
Troppo una vita che non ha avuto meta. Avremo un silenzio stento e povero, Un sonno doloroso, che non reca
Dolcezza e pace, ma nostalgia e rimprovero, La tristezza di chi è morto senza vita : Se qualcosa di puro, e sempre giovane,
Vi resterà sarà il tuo mondo mite, La tua difucia, il tuo eroismo : Nella dolcezza del gelso e della vite
O del sambuco, in ogni alto o misero Segno di vita, in ogni primavera, sarai Tu; in ogni luogo dove un giorno risero,
E di nuovo ridono, impuri, I vivi, tu darai La purezza, l’unico giudizio che ci avanza, Ed è tremendo, e dolce : ché non c’è mai
Disperazione senza un po di speranza.
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